Nel 2025, sì, siamo ancora qui a parlare di carta d’identità e di come le parole scritte su un documento possano fare la differenza. Ma stavolta, una buona notizia: la Cassazione ha finalmente messo la parola fine su una questione che riguarda da vicino molte famiglie italiane, soprattutto quelle arcobaleno. La dicitura “padre” e “madre” sulle carte d’identità dei minori torna a essere sostituita con un più inclusivo “genitore”.
Cosa è successo
Con una sentenza importantissima (la n. 9216/2025), la Corte di Cassazione ha bocciato il decreto del Ministero dell’Interno del 2019 che aveva imposto il ritorno alla vecchia formula “padre” e “madre” sulla carta d’identità elettronica. Una scelta che, all’epoca, aveva scatenato proteste e ricorsi, soprattutto da parte delle famiglie omogenitoriali – cioè quelle composte da due mamme o due papà.
La sentenza ha confermato che quella decisione era discriminatoria. Perché? Perché escludeva e invisibilizzava quei bambini e bambine che hanno due genitori dello stesso sesso. In pratica, uno dei due genitori veniva costretto ad essere classificato con un’etichetta (“padre” o “madre”) che non corrispondeva alla realtà, né al suo genere.
Perché è importante
Non stiamo parlando solo di un tecnicismo burocratico. Questa sentenza parla di dignità, di riconoscimento, di diritti. “Genitore” è una parola che include, che non fa differenze. Che riflette la realtà, sempre più varia, delle famiglie italiane.
Come ha ricordato la Cassazione, una carta d’identità non è solo un pezzo di plastica: è un documento valido per viaggiare, per vivere pienamente la cittadinanza. Se non rispecchia lo stato civile del minore, se non rappresenta davvero chi sono i suoi genitori, diventa un ostacolo e una fonte di ingiustizia.
La battaglia legale
Tutto è partito da un caso concreto: un bambino con due mamme, una biologica e una adottiva tramite la stepchild adoption. Il Tribunale di Roma aveva già riconosciuto che quel bambino aveva diritto a una carta d’identità che lo rappresentasse per ciò che è. La Corte d’Appello aveva disapplicato il decreto del 2019, e ora la Cassazione ha confermato: avevano ragione.
Il vecchio modello del Viminale non garantiva una rappresentazione equa di tutte le famiglie, e quindi era irragionevole e discriminatorio. Game over.
Un messaggio ai giovani
Questa sentenza è un passo in avanti verso un’Italia più giusta, più aperta e più vera. Ci ricorda che la legge può (e deve) cambiare per stare al passo con la società. E ci dice anche che non è mai troppo tardi per correggere una scelta sbagliata.
Non è solo una questione che riguarda le famiglie LGBTQ+. Riguarda tutti noi, perché difendere i diritti degli altri significa difendere anche i nostri.
Quindi, se un giorno avrai figli, o semplicemente se credi che l’uguaglianza debba essere scritta nero su bianco — anche su una carta d’identità — questa è una vittoria anche tua.
10/04/2025
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