Da alcuni decenni, molti studiosi e agenzie internazionali parlano di femminilizzazione per descrivere uno dei tratti distintivi della mobilità umana dell’epoca contemporanea.
Il peso delle donne nei flussi migratori, che corrispondono circa alla metà dei migranti internazionali, conferisce loro il ruolo economico breadwinner, procacciatrici di reddito per le loro famiglie.
Anche in Italia la transizione migratoria fu annunciata, negli anni 70, proprio dall’arrivo di donne straniere a servizio nelle famiglie borghesi, le cosiddette colf, una riedizione della figura della cameriera ma che ne riproduce la natura familiare e i caratteri di un mestiere servile adatto soprattutto alle donne.
Non c’è da stupirsi se, a decenni dall’avvio della vicenda migratoria italiana, le famiglie sono ancora il principale datore di lavoro delle immigrate; il comparto assorbe oltre 4 straniere su 10.
Tuttavia, la migrazione femminile ha anche altri volti, che rispecchiano la tradizionale configurazione del ciclo migratorio, in cui i primi a migrare sono gli uomini. Parliamo del volto delle donne arrivate attraverso il ricongiungimento familiare, che da anni rappresenta la principale ragione d’ingresso in Italia. E di quello delle loro figlie, talvolta al centro di episodi drammatici, sebbene si tratti di episodi isolati rispetto a una realtà fatta in prevalenza di buona integrazione. Molte sono infatti le giovani immigrate e figlie di immigrati che incarnano i sogni di riscatto delle loro famiglie, si impegnano a scuola, ottengono un lavoro qualificato e fanno sentire la propria voce nello spazio pubblico. E tuttavia, gli episodi che ci parlano di regimi patriarcali sollecitano a interrogarsi su una realtà composita e ancora in parte poco conosciuta.
La realtà, ad esempio, delle migliaia di donne originarie da paesi come Egitto, India, Pakistan, Bangladesh che si ritrovano per scelta o per forza?, a volte giovanissime, a svolgere il ruolo di moglie e casalinga: il tasso di inattività femminile, in questi gruppi, supera l’80 o addirittura il 90%.
Si tratta di situazioni che percepiamo distanti dal principio dell’equità di genere, se non addirittura come una minaccia alla parità faticosamente affermata. Ma che, da un’altra prospettiva, potrebbero essere la spia di quanto tale obiettivo sia ben lontano dall’essere concretamente raggiunto, e non certo a causa della presenza di comunità immigrate custodi di culture arretrate. Nel deprimente scenario demografico italiano, sono spesso queste donne a fare più figli e in alcune comunità immigrate sono elevatissime le percentuali delle giovani donne che dichiarano di doversi occupare della cura dei figli o di altri pakistane.
Si tratta di situazioni che percepiamo distanti dal principio dell’equità di genere, se non come una minaccia alla parità faticosamente affermata. Ma che, da un’altra prospettiva, potrebbero essere la spia di quanto tale obiettivo sia ben lontano dall’essere concretamente raggiunto, e non certo a causa della presenza di comunità immigrate custodi di culture arretrate. Nel deprimente scenario demografico italiano, sono spesso queste donne a fare più figli e in alcune comunità immigrate sono elevatissime le percentuali delle giovani donne che dichiarano di doversi occupare della cura dei figli o di altri familiari: 95,2% delle egiziane, 75,2% delle tunisine, 72,2% delle bangladesi, 70% delle pakistane.
11/01/2021
Inserisci un commento