Le Olimpiadi di Tokyo 2020 rimarranno alla storia, non solo per i record stabiliti dagli atleti, ma anche per l’indagine avviata dal Cio, su quello che si è trasformato in un caso internazionale.
Nei primi giorni di agosto, proprio nel pieno dei Giochi, la velocista bielorussa Krystsina Tsimanouskaya aveva sollevato delle critiche verso la Federazione del suo Paese, per volerle imporre di partecipare alla staffetta 4x400, quando invece avrebbe dovuto gareggiare per i 100m e 200m.
In seguito alle sue rimostranze, ma anche perché già segnalata per alcune dichiarazioni pubbliche contro il regime di Lukashenko, eletto lo scorso anno per la sesta volta, senza neanche poter gareggiare, la sportiva era stata scortata in aeroporto.
Qui, la Tsimanouskaya, nonostante fece già ricorso al Tas, Tribunale arbitrale dello sport prima delle batterie di qualificazione, che respinse il suo appello, si è rivolta alla polizia chiedendo asilo politico, dichiarando di aver paura di tornare a Minsk, dove sarebbe certamente finita in prigione o in un centro psichiatrico.
Intanto, la venticinquenne bielorussa si è rivolta all’ambasciata polacca in Giappone, la quale ha concesso, a lei e al marito, un visto umanitario. Dopo essere arrivata in Polonia, ha rilasciato un’intervista, con indosso una maglietta con la scritta “Voglio soltanto correre”, spiegando che aveva preso la decisione di non tornare in Bielorussia, dopo che la nonna le aveva raccontato che i media del suo Paese, l’avevano fortemente criticata riferendo di soffrire di problemi mentali.
Venerdì scorso, il Cio, il Comitato Olimpico Internazionale, ha espulso i due allenatori dall’organizzazione e ha avviato un’indagine formale, ma ha assicurato che presto “avranno l’opportunità di essere ascoltati”, per chiarire la situazione.
11/08/2021
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